Il futuro degli anime: verso la perdita del primato giapponese?

La popolarità degli anime a livello mondiale ha raggiunto livelli mai visti in passato. I cataloghi delle piattaforme streaming (come Netflix e Amazon Prime Video) hanno una nutrita selezione di titoli vecchi e nuovi e i siti la cui funzione principale è fornire anime in streaming hanno registrato una crescita spaventosa (al momento Crunchyroll conta più di 45 milioni di utenti registrati) nel giro di un decennio.
La fama degli anime si sta espandendo globalmente ma, paradossalmente, l’industria giapponese degli anime sta affrontando un periodo di spaesamento. Il perché è presto detto.

A grandi linee, con il termine “anime” si definiscono tutti quei prodotti di animazione con un particolare stile di disegno e un numero variabile di episodi, spesso distribuiti su più stagioni; la durata media della puntata è di 23 minuti e ogni episodio prevede una sigla di apertura e una di chiusura. La colonna sonora delle serie anime è molto curata, soprattutto nella selezione dei temi strumentali, spesso associati a singoli personaggi o momenti ricorrenti all’interno della serie. Un anime può presentarsi anche sotto forma di lungometraggio animato: in questo caso, ad avere un ruolo distintivo sono i disegni e la colonna sonora. Per quanto la definizione di anime sia controversa, è ormai opinione comune che, più che la località di produzione, siano certe caratteristiche contenutistiche e tecniche a rendere un prodotto d’animazione un anime. Dopotutto, molti anime “giapponesi” sono stati (e vengono tuttora) animati in Corea del Sud o in Cina… E questa divisione dei ruoli non li rende di certo meno “anime”. Ne consegue che, tenendo a mente questi elementi distintivi del genere, qualunque studio di animazione in giro per il mondo possa, di fatto, dare vita a un anime.

È il caso ad esempio di Castlevania (2017), che può essere classificato come anime pur essendo stato realizzato negli Stati Uniti. Insomma, per produrre un anime non è più necessario assecondare le direttive di aziende giapponesi. Basta avere chiare le caratteristiche che hanno reso questo genere popolare in tutto il mondo a partire dagli anni ’60. Molti studi di animazione sparsi in giro per il mondo hanno saputo fare tesoro degli insegnamenti dell’industria giapponese, finendo col lavorare in piena autonomia (sia economica che creativa) a… Degli anime.

Questo cambiamento all’interno dell’industria, oltre a essere evidente per molti fan, è stato documentato in Giappone da molti insider ed esperti di animazione. L’AJA (Association of Japanese Animation), in uno dei suoi report più recenti sull’industria degli anime, ha messo nero su bianco come il Giappone senta il proprio primato decennale di produttore di anime minacciato da due competitor in particolare: la Cina e gli Stati Uniti.

Cina

L’industria anime cinese è giovanissima, ma può contare su una nuova generazione di animatori e creativi cresciuti a pane, anime, manga e videogiochi giapponesi; questi creativi hanno fatto propri lo stile di disegno e alcune suggestioni proprie delle produzioni nipponiche, fondendole con successo con le modalità narrative della propria cultura di origine. Emblematico in questo senso è il successo di Ne Zha (2019), film d’animazione in computer grafica 3d del regista Yang Yu (classe 1980); il 2 agosto 2019 Ne Zha è diventato il film d’animazione ad aver incassato di più in Cina, aggiudicandosi un record che Zootopia deteneva dal 2016. Attualmente, Ne Zha è il film animato ad aver incassato di più all’interno di un singolo mercato ($703.71 milioni in Cina), superando il record de Gli Incredibili 2 (2018), pellicola che aveva incassato $608.5 milioni in Nord America. Per avere un quadro completo dei record che detiene Ne Zha, basta consultare la voce “box office” della pagina wikipedia del film. A fronte del raggiungimento di traguardi di prestigio, la Cina, che da sempre collabora con il Giappone nella produzione di serie animate (sia a livello di “manodopera” che di investimenti), potrebbe smettere di investire in prodotti giapponesi e concentrarsi sullo sviluppo della propria industria anime nazionale. Da prezioso collaboratore a temibile rivale il passo è breve…

Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono noti soprattutto per i prodotti Disney che, esportati in tutto il mondo, godono di un enorme successo a livello globale. La ricetta del prodotto Disney è nota a tutti: tanta musica, buoni sentimenti, finali in cui l’eroe/eroina, dopo infinite peripezie, risulta trionfante. Nel tipico film Disney non c’è spazio per personaggi dalla moralità grigia: è tutto bianco o nero: tutto deve essere facilmente fruibile dagli 0 ai 99 anni (e oltre). Fino a qualche anno fa, la Disney rispondeva alla domanda di prodotti animati family friendly, mentre tutti coloro alla ricerca di serie e film d’animazione con temi più adulti (vita, morte, crescita, amore, violenza, rapporto con la natura etc.), atmosfere malinconiche e finali non necessariamente “positivi” consumavano produzioni nipponiche. Animazione americana e giapponese correvano su due binari paralleli, perché rispondevano a esigenze diverse di pubblici diversi. Ma la situazione sta lentamente cambiando: la pacifica convivenza tra queste due diverse modalità di fare animazione è destinata a interrompersi. Secondo l’AJA, la svolta è avvenuta con la vittoria agli Oscar 2019 di Spiderman: Into the spiderverse (2018) come miglior film d’animazione.

Secondo gli esperti giapponesi, Spiderman: into the spiderverse è la prova che l’industria dell’animazione made in U.S.A sta sviluppando con successo una nuova sensibilità nei confronti di prodotti animati rivolti a un pubblico adulto. Affinando questa sensibilità, nella peggiore delle ipotesi, le produzioni americane potrebbero privare l’industria giapponese di un mercato d’esportazione importante e presentarsi come competitor a livello globale.

Il Giappone: idee per salvaguardare il primato nazionale

La crescita dei paesi rivali procede a ritmo talmente serrato (recentemente, Tencent ha annunciato il rilascio a breve di 22 nuovi donghua) da spingere il Giappone a riflettere sullo stato attuale e sui futuri sviluppi della propria industria nazionale.

Secondo Tadashi Sudo, giornalista e analista dell’industria dell’animazione, i prodotti animati giapponesi non devono cambiare né a livello contenutistico né stilistico, in quanto sono proprio questi ingredienti ad avere un forte appeal a livello globale. Se il Giappone è però intenzionato a esportare i propri anime all’estero, il paese deve imparare a conoscere meglio le culture straniere e integrarle all’interno delle proprie produzioni in maniera adeguata e rispettosa. In questo momento storico, il Giappone corre il rischio di perdere terreno nei team esteri che hanno imparato a padroneggiare lo stile d’animazione giapponese e che, in quanto già capaci di integrare questi elementi, potrebbero catalizzare l’attenzione a livello globale.

Tadashi Sudo è convinto che, proprio come lo stile di animazione giapponese è stato capace di trascendere le barriere culturali, lo stesso dovrebbe avvenire con i processi di creazione e produzione. L’assemblaggio di team di creativi non esclusivamente giapponesi potrebbe quindi essere una possibile soluzione per aiutare l’industria nazionale a mantenere il proprio primato a livello globale. Secondo Sudo, molte co-produzioni internazionali in passato hanno prodotto risultati fallimentari a causa della mancanza di una visione comune sulla direzione del prodotto finale. Una volta concordata una visione comune, dovrebbe però essere possibile far cooperare con successo persone con background culturali molto diversi tra loro. Proprio come il successo globale dei film hollywoodiani ha reso Hollywood un polo d’attrazione per attori e registi sparsi per il mondo, un approccio più accogliente nei confronti dei creativi stranieri permetterebbe al Giappone di rafforzare il proprio ruolo come aggregatore di talenti dell’industria dell’animazione.

Il Giappone: tra evergreen e sperimentazione

Lo scenario immaginato da Sudo è affascinante, ma rimane parecchio ambizioso: richiederà diversi anni di lavoro e sforzi reciproci per essere pienamente attuato. L’industria dell’animazione giapponese è ancora parecchio chiusa in se stessa e al momento, più che collaborazioni internazionali, sembra più interessata a “fare cassa” sfruttando il successo di vecchie serie “autoctone”. Infatti, complici la crisi del mercato dell’home video e la sempre più crescente pirateria online, molte case di produzione tendono a investire poco in titoli nuovi dal destino incerto, preferendo puntare su serie “evergreen”, spesso già concluse da anni o addirittura da decenni. Per sfruttare pienamente la potenza di queste serie iconiche vengono realizzate periodicamente nuove serie animate che possono essere prequel, sequel, spin-off o reboot di una serie di partenza. Prequel, sequel e spin-off sono generalmente indirizzati ai fan che conoscono già l’universo narrativo dell’opera originale, mentre il reboot ha lo scopo di attirare l’attenzione di chi si approccia alla serie per la prima volta. In particolare, il reboot animato è un’ottima occasione per conquistare il pubblico più giovane che, per ragioni anagrafiche, non aveva avuto modo di recuperare la serie originale al momento della sua uscita.
A tutte le nuove serie animate vengono associati nuovi tipi di merchandise e videogiochi, realizzati con lo scopo di fare breccia nel cuore (e nel portafogli) dei fan di lunga data (che hanno la tendenza a supportare economicamente i brand durante tutte le fasi della loro vita) e del pubblico della nuova generazione. Tra questi titoli evergreen abbiamo:

  • Dragon Ball: Dragon Ball, serie di punta della Toei Animation, continua a far parlare di sé (e a fatturare) in tutto il mondo grazie a serie animate, videogiochi e merchandise.
  • Saint Seiya: Saint Seiya è un’altra serie di punta della Toei Animation che monetizza da più di 30 anni grazie a reboot, sequel e spin-off della serie principale, manga, gadget e giochi per dispositivi mobili.
  • Yashahime: sequel di Inuyasha, serie che anni fa ha avvicinato molti spettatori occidentali al mondo dell’animazione nipponica grazie al fascino di personaggi e scenari ben radicati nel contesto culturale e folkloristico giapponese.
  • Boruto: Boruto è una vera e propria macedonia di contenuti già visti e rivisti in Naruto, la serie “padre” che ha fatto della parola “filler” il suo elemento distintivo… Ma è proprio questo mix di avventura, azione, umorismo e sentimento ad aver reso prima Naruto e poi Boruto apprezzate a livello globale.
  • Digimon: Digimon ha festeggiato il suo ventesimo anniversario con un reboot della prima serie ambientato ai giorni nostri, in un mondo in cui la tecnologia non è riservata a pochi esperti ma è a portata di tablet e smartphone.
  • Shaman King: previsto per il 2021, il reboot dell’anime di Shaman King avrà un character design e un finale più fedeli a quelli del manga, ma conserverà i doppiatori storici e le iconiche sigle di Megumi Hayashibara.
  • Fruits Basket: arriverà nel 2021 la terza e ultima stagione di Fruits Basket, che aveva già goduto nel 2001 di un adattamento anime, poco apprezzato dall’autrice del manga per la scarsa aderenza allo “spirito” del materiale di partenza.

Tuttavia, per quanto la tendenza al prequel/sequel/spin-off/reboot sia ormai un’abitudine consolidata degli studi di animazione giapponesi, bisogna però segnalare che il 2020 si è aperto con una spinta inaspettata verso la “contaminazione internazionale”. Questo approccio più “sperimentale” è stato messo in moto da alcune serie original della piattaforma di streaming Crunchyroll. Noblesse (in uscita a ottobre 2020), The God of School (luglio 2020) e Tower of God (aprile 2020), dei veri e propri anime giapponesi nati da webtoon coreani, possono essere considerati dei tentativi ben riusciti di ibridazione di materiali e talenti stranieri. Oltre a essere pubblicizzati dalla piattaforma, questi anime possono contare su un’insolita quanto moderna forma di promozione. Infatti, quasi tutte le sigle di apertura e chiusura di questi original tratti da fumetti coreani vengono affidate a gruppi k-pop, le cui fanbase contribuiscono a pubblicizzare le serie sui social in maniera totalmente gratuita; un vantaggio considerevole rispetto a molti altri anime tratti da manga poco conosciuti. Crunchyroll al momento ha avviato una proficua collaborazione con autori di webtoon coreani, ma non è da escludere che in futuro possano arrivare sulla piattaforma serie tratte da opere di autori europei, africani o americani, a cui potrebbero lavorare disegnatori e animatori provenienti da tutte le parti del globo. In questo modo, nel giro di pochi anni si potrebbero davvero gettare le basi per la concretizzazione dello scenario auspicato da Sudo.

In un mondo in continua evoluzione, il Giappone sarà in grado di mantenere il proprio status di leader dell’industria degli anime? Questo saprà dircelo solo il tempo. Quel che è certo, è che l’animazione giapponese, mossa dalla pressione delle attività dei competitor, sta entrando in una nuova fase: una fase che vale la pena tenere d’occhio.

7 thoughts on “Il futuro degli anime: verso la perdita del primato giapponese?

  1. Ciao! Hai scritto un articolo molto interessante: prima di leggerlo non avevo mai pensato all’animazione occidentale statunitense come una rivale a livello mondiale degli anime giapponesi, nè avevo idea che la Cina si fosse espansa così tanto in questo campo!
    Verissimo anche che si sta verificando questa tendenza verso la creazione di sequel delle vecchie serie di grande successo. (Dovrebbe uscire a breve anche uno speciale per i 20 anni di Doremì 😍).
    Chissà che succederà in futuro, forse il mercato è un po’ saturo, c’è bisogno di trovare qualche innvoazione!
    Ottimo lavoro!
    Aspetto il prossimo articolo! 😉

    Misa

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    1. Grazie mille per il feedback ❤️ Anch’io attendo con ansia lo speciale di Doremì! Ho sempre apprezzato la capacità della serie di unire elementi giocosi e fiabeschi a riflessioni mature sull’infanzia/pre-adolescenza… Spero che questo speciale spinga chi non ha mai visto Doremì a recuperare la serie perché resta un piccolo gioiello nel suo genere!

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  2. Articolo molto interessante! Anche io non sapevo nulla di questa crisi del giappone nella produzione di anima. Forse è anche un problema di distribuzione: qui da noi, ad esempio, la distribuzione dei lungometraggi anime è terribile, relegati, quando va bene, in proiezioni evento di pochi giorni a prezzi maggiorati. Sicuramente non aiuta il pubblico mainstream, quello che effettivamente porta i soldi, ad affezionarsi al genere.

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    1. Grazie mille!
      Concordo, molti lungometraggi animati meriterebbero di stare in sala almeno una settimana… Mi è capitato più volte di essere interessata a certe pellicole, ma ho dovuto rinunciare ad andare al cinema perché le proiezioni evento non cadono quasi mai il sabato o la domenica… Capisco che al giorno d’oggi sia molto difficile riempire le sale e che sia molto costoso tenere un film in sala per diverse settimane… Ma 1-2 giorni sono davvero pochi.

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